La Commissione Civica per i Beni Culturali di Pinerolo da due anni non è più stata convocata.
Palazzo Vittone, Chiesa di Sant’Agostino, Collegio dei Gesuiti, Caserme francesi ex Tribunale, Palazzo Acaja e Follone Turck sono alcune delle criticità che richiedono interventi urgenti e intelligenti.
(da: VITA Diocesana Pinerolese, Anno 5 – N. 8 – Domenica 4 Maggio 2014)
Tra poche settimane, i cittadini saranno chiamati alle urne per eleggere i loro rappresentanti al Parlamento europeo, al Consiglio regionale ed in molti Comuni del Pinerolese. Una giornata quindi di eccezionale importanza per il nostro futuro, per l’Europa nel contesto mondiale, per il Piemonte e per il nostro territorio. Democraticamente, tutti dovremo esprimere, con la partecipazione al voto, la nostra idea di governance, continentale e locale.
Pinerolo, che non rinnova la sua Amministrazione comunale, è la città capofila del territorio e quindi deve avere una visione ampia di area; ogni sua decisione (o indecisione) crea effetti territoriali vasti e complessi. L’abolizione della Provincia e Torino che diventa città metropolitana sono due fatti nuovi che dovrebbero costituire un tema di dibattito democraticamente ampio ed articolato; il disegno del nostro futuro sarà da porre in mano a persone -elette- capaci e determinate a trovare la sintesi tra interessi locali e quelli di altri territori, ovviamente legittimi, ma contrapposti e tendenzialmente in conflitto. Il Pinerolese, da molto tempo, ha pochi rappresentanti negli enti sovraordinati, e il declino che stiamo subendo è anche appesantito da questa situazione di minor rappresentatività.
Una risorsa straordinaria del nostro territorio è la sua unicità antropologica e culturale, essendo terra di frontiera, multiculturale fin dal Medioevo; i Governi centrali, dopo aver dichiarato che «con la cultura non si mangia» (Giulio Tremonti), recentemente, per bocca del Ministro per i Beni Culturali e anche Turismo (Dario Franceschini), hanno variato il tiro dichiarando che la Cultura è come «petrolio» per l’Italia, la più importante fonte di risorse a nostra disposizione; «mi hanno dato il più importante dicastero economico» ha detto Franceschini subito dopo il giuramento al Quirinale, «tutela e valorizzazione, … coordinamento col sistema dei Comuni, … investimenti per la cultura e turismo». Quindi si sta inaugurando un nuovo corso: non si può più soltanto vivacchiare (con i musei quasi sempre chiusi ed i monumenti lasciati crollare per impotenza ed incuria), ma è necessario un vero e proprio programma nazionale di interventi mirati in grado di fornire prospettive e futuro all’immensa ricchezza italica che possediamo.
La recente notizia della dismissione della ex-Caserma di Cavalleria «Bochard», che passerà in proprietà al Comune di Pinerolo per usi culturali, è un segnale nella direzione espressa dal Ministro Franceschini; il «polo culturale» che intende creare il Sindaco Eugenio Buttiero nei grandi edifici militari è esattamente su questa linea. I temi da affrontare per riempire di contenuti concreti questo «polo» sono ancora tutti da discutere, progettare, scrivere. Con una premessa, fin da subito: questo «polo» non dovrà essere solo un centro di servizi della città, ma dovrà avere una valenza ed un valore a livello territoriale per tutto il Pinerolese. Ad esempio, una proposta che ha già avuto larga adesione è quella presentata dal Centro Studi «Silvio Pellico» che invita a coordinare 150 beni culturali ed ambientali del nostro territorio definito come «Terre d’Acaia»; tre beni «faro» per ogni Comune dei circa 50 che costellano, dal confine con la Francia fino alla linea delle risorgive nella pianura, un territorio di circa 200.000 abitanti. Questi 150 punti forti del territorio potranno avere alla «Bochard» una vetrina centrale multimediale ed interattiva, in grado di mettere in sinergia le risorse dei beni culturali ed ambientali, beni patrimoniali che ora sono isolati e praticamente abbandonati all’oblio, al degrado, al saccheggio ed alla scomparsa.
Conservare non vuol dire essere conservatori e codini in senso politico; anzi, vuol dire avere un profondo senso di essere immersi nella cultura che è il retaggio del passato. Abbiamo ereditato un patrimonio fatto di beni che l’UNESCO classifica in materiali ed immateriali (tangibles and intangibles) ai primi appartiene ad es. l’edificio del Follone o ex Merlettificio Turck; ai secondi appartengono ad es. le abilità di confezionare pizzi al tombolo, saperi tradizionali conservati operativi ancora oggi dai discendenti della famiglia Turck. Sono questi i Beni Culturali che, insieme a quelli Ambientali godono di protezione legale, secondo normative internazionali, nazionali e locali, come dovrebbe essere previsto dai piani comunali.
Ma il territorio che è la casa comune, il deposito dei valori stratificatisi nel tempo, è anche l’identità ed il retaggio di una comunità e di ogni individuo. Quando siamo costretti a vivere in un ambiente asettico e standardizzato, come una cella di un carcere, la corsia di un ospedale, il corridoio di un supermarket, cerchiamo di evadere al più presto perché nessuno sente questi ambienti come luoghi familiari.
Quindi la città come coacervo di memorie, stratificazione di edifici, di pieni e di vuoti, di giardini e di orti, è la patria piccola, la portatrice della storia piccola (anche a volte grande), con le sue pagine più o meno importanti e più o meno ben conservate, è la nostra carta di identità perché non vogliamo essere apolidi; aperti con tutti gli altri e con tutte le tradizioni e le culture, ma senza rinunciare ai millenni che stanno alle e sulle nostre spalle.
Allora il nostro dovere è di discutere e concordare con tutti i cittadini (uso apposta questo termine illuminista di citoyens), visto il passato ed il presente, quale deve essere il disegno del nostro comune futuro, la casa che vogliamo consegnare ai figli ed ai figli dei nostri figli, perché – come amo ricordare, a me stesso in primis – il patrimonio (i beni culturali ed ambientali, tangibles and intangibles) è un prestito che abbiamo ricevuto dalle generazioni future che noi dobbiamo saggiamente amministrare e valorizzare per noi e per i posteri.
Pinerolo si è trasformata nei millenni: nucleo preistorico durante l’Età del Bronzo e del Ferro, nel I millennio a. C., oppidum gallo-romano sulle alture collinari affacciantesi sulla pianura, città murata e fortificata dall’alto Medioevo fino alla fine del XVII secolo, prima capitale del Piemonte con i Principi d’Acaja – Savoia, fortezza francese di prima classe col Re Sole, sede di Provincia e di sotto-Prefettura con Napoleone, città artigiana fin dal Medioevo; da sempre città militare, con il periodo aulico della Cavalleria e col prestigio internazionale -tra Ottocento e Novecento fino alla seconda guerra mondiale- per essere la sede più importante per l’equitazione, surclassando il Cadre Noir di Saumur e la Spanische Hofreitschule di Vienna, città operaia la cui vocazione attuale, tra post industriale, terziario avanzato e centro di servizi territoriali, stenta a trovare una regia autorevole con una linea che miri alto verso il futuro, disegnando la città che sarà Pinerolo nella seconda metà di questo primo secolo del terzo millennio d. C.
Ma non si può pensare a Pinerolo in modo puntiforme e con l’ottica della città con ancora la antica cinta muraria, chiusa nella sua individualità; oggi occorrerebbe almeno ricuperare la visione strategica che fu propria del periodo napoleonico, dove il Pinerolese era una unità territoriale.
Nel non preistorico 1960, l’amministrazione di allora della città perpetrava una colossale infamia urbanistica: abbatteva proditoriamente l’enorme edificio, costruito a metà del ‘600 dal Vauban, architetto militare del Re Sole Luigi XIV, costituente la caserma detta Hotel di Cavalleria e l’annesso maneggio, in una settimana, sperando di alzare una fungaia di grattacieli e fare enormi profitti; fortunatamente i funghi non crebbero e rimase un piazzale addossato ai rialzi dei bastioni e dei fossati che ancora oggi corrono fino alla Piazza d’Armi. La Commissione comunale di Disegno Urbano che nell’Ottocento discuteva lo stile dei Portici Nuovi di Corso Torino era scomparsa da tempo e mai più riformata.
Dopo «cento anni di solitudine», per dirla con Garcia Marquez recentemente scomparso, concludo con un segno positivo: l’Amministrazione di Pinerolo ha istituito quattro anni fa una Commissione Civica per i Beni Culturali di Pinerolo, formata da vari esperti per dare consulenza all’Amministrazione sulle tematiche di cui abbiamo trattato. Ma, in cauda venenum, non posso esimermi dal far notare che questa Commissione non è più stata informata né convocata (è presieduta dal Sincaco) da circa due anni, nonostante che i progetti e le tematiche relative al patrimonio culturale di Pinerolo siano divenuti quotidiani punti di esternazioni di volontà di dialogo aperto e di formazione di «squadre».
Un lavoro che era stato individuato come prioritario per la Città era l’inventario completo del Patrimonio Culturale da realizzarsi con schede ad hoc. A casaccio, elenchiamo alcune criticità del patrimonio monumentale edilizio cittadino: Palazzo Vittone, Chiesa di S. Agostino, Collegio dei Gesuiti, Caserme francesi ex Tribunale, Palazzo Acaja, Follone Turck.
Progettare nel campo dei Beni Culturali in modo oculato, a lungo termine e con un chiaro crono-programma è una operazione che richiede necessariamente un archivio aggiornato, un data-base ed un gruppo di lavoro qualificato (la Commissione Comunale Beni Culturali, in primis) che sia attivato ed attivo.
Ovviamente si può e si deve parlare con tutti, cittadini, associazioni, enti vari, ma il non attivare la Commissione BB. CC. è un fatto misterioso e democraticamente inspiegabile.
Ce lo spiegheranno i candidati alle prossime elezioni che, sono certo, anche loro avranno messo nei loro intenti programmatici la Cultura al primo posto, seguendo le indicazioni governative del premier Matteo Renzi e del Ministro Dario Franceschini ?
Dario Seglie
Direttore Museo Civico di Archeologia e Antropologia di Pinerolo
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