Tutto il Pinerolese, come altre parti dell’Italia, è ancora cosparso di una miriade di edifici (vecchi più che antichi) industriali costruiti in tutto il periodo degli ultimi due secoli di sviluppo delle fabbriche che ha perfino connotato un’epoca (quello del Settore Secondario dell’industria) che dalla seconda metà del Novecento ha cominciato a declinare, ed attualmente è stato superato dalla successiva e odierna fase del Terziario.
Il più constatabile risultato di questo lento, quasi impercettibile ma non irrilevante, mutamento contingente è segnalato dal percepibile degrado degli edifici industriali e del suo paesaggio corrispondente, in cui opifici di produzione e suoi apparati di esecuzione sono gravemente, e tristemente, ridotti a un degrado preoccupante e miseramente rivolti alla rovina (e loro irrimediabile scomparsa) se non viene trovato un criterio di soluzione per salvarli ed un adeguato metodo di procedura tecnico-amministrativa che possa riportarli ad un degno ricupero e ad un ri-uso appropriato.
È stato il sociologo François Lyotard a precisare, nel 1979, lo stato di questa nuova condizione socio-economica che economisti e filosofi hanno chiamato “condizione post-moderna”: una denominazione che indica un passaggio denotativo, dalla situazione della Modernità trascorsa, al fenomeno (che ancora compete alla nostra vita presente) ad essa successivo della odiernità in corso.
“Società dei servizi” ha chiamato questa nuova fase di trasformazione economico- sociale, nonchè culturale e comportamentale, l’economista Daniel Bell nel 1973, osservando che già nel 1956 si era verificato, per la prima volta al mondo, e negli Stati Uniti, il sorpasso numerico (più della metà degli addetti al lavoro) delle Tute Blu (operai) da parte dei Colletti Bianchi (Impiegati).
È un salto di quantità numerica che può apparire generico, ma la cui consistenza fisica ha determinato, invece, un notevole mutamento di esistenza complessiva nelle condizioni delle società sviluppate (e non solamente) di tutto il pianeta.
La conseguenza è stata una notevole perdita dei criteri di riferimento esistenziale e di organizzazione delle nuove risorse, materiali e intellettuali, ormai basate su regole codificate da più di due secoli.
Lo stesso territorio pinerolese ovviamente ha accusato questa crisi epocale, e da tempo le sue fabbriche, e le attrezzature che le sostenevano, stanno degradando nella trascuratezza, nella rovina, e nel disuso; perdendo quel loro splendore attivo per cui erano nate, e di cui sono state inopinatamente disautorate, senza che ne venga assolutamente tentato l’opportuno ripristino e re-impiego nella loro testimonianza oggettiva di elementi caratteristici locali del patrimonio storico-industriale che ha costituito un importante connotazione nella tipicità edilizia e tecnica di Pinerolo e del suo circondario.
Il merlettificio Turck
L’esempio recentemente più eclatante e scandaloso del degrado edilizio si ritrova nel vecchio Merlettificio Turck proprio a Pinerolo, giacente in una sconsolante rovina progressiva, non solo dolorosa ma anche – forse – dolosa, proprio per il disinteresse della città e l’incuria delle autorità pubbliche verso il degno recupero di questo patrimonio fisico che appartiene alla proprietà, materiale e culturale, delle nostre terre e delle sue testimonianze lavorative.
Per non riportare un noioso elenco delle presenze industriali del Pinerolese sottoposte ad analoghe circostanza di distruzione (per il riscontro e la classificazione dei quali lasciamo il compito ad Italia Nostra, che già si è occupata di qualche caso di tale genere), bastino ricordare alcuni soltanto tra i più emergenti edifici di quella Archeologia recente che, per le proprie caratteristiche di operatività produttiva di genere meccanico, viene appunto denominata “industriale”.
La RIV di Villar Perosa
Tra le differenti condizioni tipologiche esistenti nel Pinerolese si ritrovano tre generi caratteristici della situazione archeologico-industriale, che si dipartono dalla norma ripristinativa più consueta osservabile a Villar Perosa nel contesto architettonico-operaio della RIV conservato in una sua decente utilizzazione odiernizzata (non si deve dimenticare che, come ha sempre sostenuto già dalla fine dell’Ottocento il grande teorico del restauro moderno John Ruskin, è sostanzialmente la normale manutenzione ad assicurare un continuativo ripristino, aggiornante ma non distruttivo).
Lo Stabilimento Mazzonis e l’Opificio Crumière
Le altre due casistiche, sono evidenti esempi di opposta situazione propositivo-organizzativa, uno disdicevole e l’altro encomiabile: il primo (visibile nei padiglioni caoticamente sistemati, e per altro mantenuti in modo parziale o lasciati all’ abbandono, del vecchio Stabilimento Mazzonis a Torre Pellice, la cui articolazione appare incompiuta e senza ordine edilizio e spaziale) è quello della risistemazione incompiuta e senza pianificazione globale, che mostra sconcertanti carenze nella generale ripristino delle costruzioni storiche ancora esistenti; mentre il secondo (ritrovabile nel parco edilizio-paesistico dell’insieme eco-museale dell’Opificio Crumière a Villar Pellice, adeguatamente ristrutturato nella sua ambientalità interna e negli effetti di adeguamento odierno dei contesti naturalistici e delle presenze costruite) offre invece un idoneo caso di intervento congruo nel rinnovamento di un vetusto organismo in un attualistico insieme pluri-funzionale, definito fissando gli aspetti tipologici del passato e rivolgendone il ripristino ad idonei utilizzi per le esigenze odierne. Da cui è provenuto un discreto ambiente di incontri culturali e di svago per la gente che può segnate un importante indicazione operativa: non sarà il Bois de Boulogne parigino o il newyorkese Central Park, e neppure il sorprendente Miglio di Londra o l’infinito Lungofiume di Ottawa incredibilmente attrezzato per chilometri di sentieri, ma almeno un sito di effettiva frequentazione collettiva, distensiva e piacevole, diversificato tra vecchie architetture ripristinate ed una ambientalità naturalistica disponibile.
E tutti gli altri…
Tuttavia resta poi quella più estesa categoria di elementi industriali senza previsione di progetto destinati ad una irrimediabile scomparsa, che compirà il loro destino distruttivo se non verrà pensata una loro solerte ristrutturazione.
Ma per tutte le attuazioni di ripristino, non basta soltanto riportare un organismo o uno spazio ad un uso pratico concreto; è necessario anche darne un aspetto estetico sopportabile, e cioè bello. L’utile e il dilettevole devono attagliarsi agli aspetti concreti di una cultura civile e storica, che riesca complessivamente ad amalgamare, e opportunamente equilibrare, la praticità e l’estetica; in modo da rendere il nostro intorno (che abbiamo dovutamente organizzato se non l’abbiamo trascurato o distrutto) adatto ai nostri bisogni concreti, e appagante per la nostra sensibilità di utenza pratica e di percezione psicologico-visiva.
Sull’ampio e diversificato patrimonio archeologico-industriale occorre dunque pensare giuste proposizioni di ricupero e ricomposizione, per intervenire solertemente e con accortezza, e ridare un nuovo efficace senso di vita ulteriore ai suoi elementi edilizi e tecnici. Prima che poi non sia troppo tardi, e non ci si possa neppure più lamentare.
Corrado Gavinelli
(Vita Diocesana Pinerolese – n. 2 – 2 febbraio 2014)