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Il Progetto Terre d’Acaia chiude

Terre d’Acaia, lanciato nel 2013 dal Centro Studi Silvio Pellico è stato uno dei progetti più impegnativi della nostra associazione. Ma, dobbiamo ammetterlo, anche non riuscito.

L’area pinerolese rappresenta, nell’ambito della provincia di Torino, un territorio omogeneo quanto variegato dal punto di vista culturale, economico e naturalistico. Ricco di testimonianze storiche, dal neolitico alla storia recente, monumenti e mete di grande attrattiva turistica.

Queste potenzialità non sono mai state tuttavia sufficientemente espresse, mancando una politica complessiva di valorizzazione strategica.

La crisi industriale non ha pertanto visto crescere soluzioni alternative e l’impegno delle singole Amministrazioni Comunali si esaurisce in iniziative sparse e non coordinate.

Il progetto Terre d’Acaia intendeva colmare questa mancanza, con una proposta di valorizzazione economica dell’area pinerolese allargata, che partendo dalle infrastrutture esistenti, ottimizzasse il grandissimo patrimonio naturale, storico e monumentale delle diverse località e soprattutto collegasse l’intera area ai flussi turistici più ampi che l’opportunità di Expo 2015 poteva creare anche per questo territorio.

In concreto, il progetto intendeva procedere, nell’arco di sei mesi preparatori e, da maggio a ottobre 2015, a:

  1. Contattare e coordinare le iniziative già presenti sul territorio (alcune amministrazioni locali già attive e disponibili, le organizzazioni di categoria, gli operatori economici)
  2. Realizzare il portale dedicato, Terre d’Acaia che promuoveva il territorio in italiano, francese e inglese e che convogliasse operativamente la domanda turistica smistandola agli operatori attraverso la presentazione di pacchetti turistici completi e compiuti da proporre ai tour operator specializzati in incoming
  3. Definire e promuovere il “marchio territoriale” che identificasse l’area, le sue specificità, e, attraverso un sistema di controllo qualitativo dell’offerta turistica e culturale, ne garantisca l’efficienza
  4. Promuovere un’identità di territorio omogenea che potesse nel medio termine portare a concepire l’offerta culturale e turistica come complessiva dell’area e non, come accade ora, legata a piccole e marginali iniziative locali
  5. Definire i disciplinari enogastronomici e creare una cultura, oggi mancante, finalizzata all’identificazione di prodotti DOP

Il progetto si scontrò con una serie di resistenze di campanile sia geografiche sia e soprattutto legate a un oggettivo ritardo degli operatori economici rispetto al resto del territorio piemontese. Questo, malgrado il convinto sostegno delle istituzioni regionali e in particolare dell’allora assessore competente, Alberto Valmaggia, che arrivò a definire Terre d’Acaia «un piano Langhe per il Pinerolese». La mancata adesione al progetto fu sostituita da una miriade di progetti autoreferenziali, tutti miseramente falliti, incentrati su interessi di parte e di categoria, perdendo di vista il respiro ampio necessario. Le conseguenze, negli anni successivi, furono:

  • la perdita di molte occasioni di rilancio del territorio pinerolese, progressivamente surclassato da aree maggiormente dinamiche, che riuscirono ad assorbire i progetti e, di conseguenza, i finanziamenti europei
  • l’erosione progressiva anche delle occasioni territoriali residue, dagli impianti dismessi delle Olimpiadi invernali 2006, trasformatisi in costosi ruderi, alle attrazioni turistiche, appannaggio di posizioni di rendita localistiche e prive di qualunque attrattiva al di fuori di un contesto puramente comunale o al massimo sovracomunale

Terre d’Acaia resta pertanto una case history importante per dimostrare come debba essere sviluppato un progetto di rinascita per un territorio depresso e soprattutto un esempio eclatante di tutti i possibili errori che la classe dirigente di un territorio possa accumulare per annientare definitivamente ogni possibilità di rilancio economico, sociale e industriale.


UNA SINTETICA RASSEGNA STAMPA  

Terre d’Acaia può diventare uno dei marchi di fabbrica territoriali più rilevanti del Piemonte e non solo

Lunedì 25 febbraio 2019, l’Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro, in collaborazione con Ucid e Mcl Piemonte, ha presentato la Lettera pastorale del Vescovo mons. Derio Olivero al mondo imprenditoriale pinerolese, dal tema il “Civismo dei produttori”, nel corso del quale è stata illustrata la proposta di

Costruire un “Atlante dei Valori Territoriali”, per lanciare le Terre d’Acaia

Intervista a Giacomo Bottino, operatore culturale che ha concretizzato questa metodologia in grandi progetti territoriali

La presentazione della lettera pastorale di mons. Derio Olivero al mondo imprenditoriale è un altro tassello nella concretizzazione, mettendo in rete le forze attive delle nostre comunità, del progetto “Terre d’Acaia”. Queste, nelle intenzioni dell’Upsl, dovrebbero dotarsi di un loro “Atlante dei Valori Territoriali”. A illustrare questo strumento è stato chiamato Giacomo Bottino.

Progettista e operatore culturale, è stato direttore del Teatro Giacosa di Ivrea e della Fondazione Circuito Teatrale del Piemonte. Dal 1990 al 1999 ha ricoperto i ruoli di consigliere e assessore della Provincia di Torino. Come autore teatrale e televisivo ha scritto nel 2008 (con Daniele Salvo) il testo di “In un volto che ci somiglia – Viaggio nella Costituzione”, spettacolo celebrativo del 60° anniversario della Carta costituzionale, interpretato da Luca Zingaretti, Paola Cortellesi, Umberto Orsini e Monica Guerritore.

Ha tradotto dal francese “La Divina Sarah” di John Murrell e Érich-Emmanuel Schmitt, attualmente in tournée nei teatri italiani, con protagonisti Anna Bonaiuto e Gianluigi Fogacci.

Dal 2018 è direttore progettuale della Fondazione Pacchiotti di Giaveno.

“Il progetto “Atlante dei Valori Territoriali” venne dibattuto, proprio su iniziativa dell’allora assessore alla pianificazione territoriale della Provincia di Torino, Giacomo Bottino, nel convegno “Geografie del Paesaggio” (Castello di Masino, 1995). Su questa base tematica e metodologica sono stati realizzati dallo stesso Bottino, in qualità di direttore artistico-culturale, il progetto “Parco Culturale del Canavese” (2014); il progetto “Le Montagne del Fare Anima”, ideato per il territorio delle Montagne Olimpiche (2005-2006). Attualmente l'”Atlante dei Valori Territoriali” è uno degli assi portanti del progetto, avviato a giugno 2018, del “Parco turistico-culturale di Giaveno e della Val Sangone””.

1) Cosa s’intende per “Atlante dei Valori Territoriali” e che ruolo può giocare nel consolidare la progettualità “Terre d’Acaia”?

Si tratta di uno strumento d’indagine, conoscenza e progettualità, dotato di uno sfondo culturale legato al pensiero del ‘900 e contemporaneo. Mi riferisco innanzitutto alla “scuola territorialista” sviluppatasi e fiorente anche nel nostro Paese: un approccio ecocompatibile ai problemi indotti dai meccanismi autoreferenziali e invasivi della crescita e dello sviluppo. Vi è poi la “filosofia del paesaggio”, che considera giustamente il territorio la più grande opera realizzata dall’umanità: è “il volto che ci somiglia”, che Carlo Levi traeva dall’osservazione del paesaggio italiano, multiforme e storicamente stratificato.

Inoltre, va considerata la cosiddetta “geofilosofia”, alla cui elaborazione Massimo Cacciari ha dato un apporto fondamentale: il pensare la terra, nell’epoca della globalizzazione e del trionfo della tecnica, come terapia per affrontare i problemi della perdita di radicamento, di memoria culturale, di identità individuali e collettive, di tradizioni e orientamenti etici. E in ultima analisi per rifondare la politica.

Tutto questo per dare consapevolezza al fatto che il territorio si colloca, come è stato detto, nel tempo lungo della storia: ha la concretezza, la durezza che garantisce una durata nel tempo e la solidità che lo contrappone al “mondo liquido” diagnosticato da Bauman.

Detto in questi termini, mi rendo conto che la realizzazione di un Atlante dei Valori Territoriali possa sembrare una fumisteria un po’ cervellotica. Ma non è così, perché anche il “mondo piccolo”, in cui Guareschi ha ambientato le storie di don Camillo e Peppone, traeva un senso dal “mondo grande”, dalla vastità degli orizzonti di pensiero delle ideologie contrapposte.

Da questa angolazione, una mappa, che consenta di individuare i valori di lunga durata di un ambito territoriale metodologicamente circoscritto, rappresenta la base di lancio di progetti diversificati, ma tenuti insieme da una stessa finalità e ispirazione: ad esempio, la ricostruzione realistica dell’identità di una regione storica piemontese, come le Terre d’Acaia, per dare luogo ad un brand, un marchio di appartenenza e di qualità utile alla promozione di un contesto di notevole significato della provincia di Torino.

2) Un simile strumento come può e deve essere tenuto presente nel dipanare una mission per un territorio?

Da tempo è in atto un processo, nel quadro dell’economia del turismo, che tende a creare una sorta di “mercato dei territori”, soprattutto in chiave culturale ed enogastronomica.

Interpreto questo processo come un fatto positivo, come un meccanismo virtuoso, perché il mercato in quanto tale, se non è dominato da logiche di sfruttamento, rappresenta una straordinaria opportunità per generare ricchezza condivisa. Il mercato, in altre parole, è un fatto culturale. In questo senso, mi piace prendere a prestito la definizione che Diderot dava della cultura: “un emporio per il commercio reciproco delle idee”.

L’Atlante dei Valori Territoriali è da intendersi come la carta costitutiva, lo statuto di questo metaforico emporio. Serve, in altre parole, per correggere lo sbilanciamento, tipicamente novecentesco, costituito dal consumo del suolo da parte di una concezione totalizzante e selvaggia dell’urbanizzazione.

La correzione di questo squilibrio rimette in moto energie sorgive come quelle dell’agricoltura e della biodiversità, del patrimonio artistico e creativo. Sono queste le risorse originali poste in risalto nel progetto “Terre d’Acaia”, risorse da offrire alla vasta platea dei turisti e dei viaggiatori, ma anche dei nativi e dei residenti. In Francia da alcuni decenni a questa parte circola una definizione: “mettere in desiderio il territorio”.

A questa linea di azione mi sembra si conformi la mission di “Terre d’Acaia”.

3) Come si giunge alla compilazione di questo Atlante?

Vi si giunge partendo dalla consapevolezza che il territorio è corale e i suoi valori sono le singole voci del coro: pensare al territorio come a una partitura musicale mi pare un’immagine non solo suggestiva, ma di alto contenuto creativo ed etico.

Perché il territorio è un fenomeno complessivo, polifonico, ma anche particolareggiato: un ambito di individualità eccezionali, di avvenimenti che ne hanno segnato il percorso nei secoli, di capacità nel fare e nel produrre, che si sono concretizzate nella nobile attività di tanti agricoltori, artigiani, operai e imprenditori. Questo per dire che, se il territorio è un coralità di valori, occorre rispecchiarlo in una mappa che sia una visione del mondo o di quel mondo specifico da mettere in desiderio.

Una geografia delle qualità locali, che sarà realizzata dall’intelligenza collettiva di un gruppo di ricercatori e progettisti, attraverso sopralluoghi, interviste, raccolte di idee, con l’obiettivo di trasformare queste “materie prime” in progetti fattibili e utili alla creazione di nuove occasioni di lavoro.

4) Come può dare maggior solidità alla suggestione delle “Terre d’Acaia”?

A mio avviso, la solidità può derivare soltanto dal rendere “Terre d’Acaia” un progetto permanente, un laboratorio che prende vita per continuare a vivere e costruire il futuro sociale ed economico della sua area di riferimento. Dovrà essere mosso da uno spirito di impresa, di istituzione sensibile e permeabile a tutto ciò che di spontaneo e innovativo arriva da fuori. E rimanere sempre aperto, sempre “sul pezzo”, come la fabbrica di una cattedrale. L’Atlante, al servizio di questo progetto, ne deve avere le stesse caratteristiche.

5) Il vescovo ha dimostrato grande attenzione alla questione della bellezza. Una grande dimenticata in un Paese come l’Italia che potrebbe / dovrebbe considerarla il proprio petrolio. Come la politica locale e il sistema delle realtà culturali sono chiamate a rapportarsi a questo tema?

Con “Lo stupore della tavola” il vescovo Derio ha scritto una lettera pastorale rinascimentale. È un documento di grande interesse e di notevole originalità. Ne emerge la figura di un uomo di Chiesa e di un umanista, che vede nella concretezza la via della realizzazione del messaggio evangelico.

Occupandomi da parecchi anni di arte, poesia, musica e teatro, nel leggere la sua lettera sono stato preso quasi da un’emozione edonistica: stabilire come assi portanti della sua proposta di cammino la pittura di Caravaggio, i versi di Turoldo, di Rilke, le riflessioni di Catherine Ternynck, di Byung-chul Han, di Josep Maria Esquirol… beh, devo confessare che ho provato con intensità il piacere dello stupore!

Poi, però, ho pensato a uomini di Chiesa e teologi come Guardini, Rahner, von Balthasar, e a quanto abbiano contribuito a sollevare il tema della spiritualità della bellezza, fino ad identificare questi due termini. E allora dallo stupore sono passato alla meditazione, che credo sia il vero obiettivo della lettera pastorale.

Quanto alla bellezza come fonte di ricchezza materiale, scontiamo su questo dato inequivocabile troppi decenni di ritardo da parte della politica sia locale che nazionale e del sistema culturale complessivo. Le condizioni ci sarebbero tutte, ma nelle istituzioni manca il lievito della consapevolezza, lo spirito di finezza necessario.

Da questa angolazione, l’Italia unita è nata male. Tuttavia, l’ampia platea dell’associazionismo e del civismo hanno compiuto negli ultimi tempi passi da gigante nel tentativo di recuperare il tempo perduto. Basterebbe che la politica ascoltasse le loro istanze e le traducesse in atti decisionali.

Ci sono indubbiamente in politica uomini e donne di valore, ma sono pochi e poco ascoltati. Solo quando nell’agenda delle istituzioni pubbliche (e nei loro bilanci) la parola “cultura” sarà scritta tra quelle in cima alla lista, solo allora il nostro Paese avrà una classe dirigente degna di questo nome.

6) Cultura e lavoro. Non sempre il lavoro culturale ha un’adeguata considerazione. Come e perché, invece, il mondo produttivo può vedere nella cultura un ambito di costruzione di sviluppo?

Per produrre occorre prima pensare e per produrre bene occorre prima aver pensato bene. Senza progettualità e progettazione le attività di impresa sono pericolosamente poggiate sulla sabbia o sulla pastafrolla del consumismo, che una volta soddisfatti i suoi appetiti si rivolge o viene indotto a rivolgersi alle nuove mode del momento.

Però, anche il lavoro culturale presenta dei limiti: il contagio del pensiero debole e dei suoi mediocri paladini non è ancora passato del tutto, anzi talvolta si ripresenta sotto mentite spoglie. Chi fa cultura deve essere cosciente della sua responsabilità sociale: la creatività muore nell’individualismo salottiero, ma prolifica nella dimensione comunitaria ed etica.

Occorre che artisti e intellettuali abbiano chiaro che la parola “autore”deriva dal verbo latino “augere”, il cui significato è “accrescere”, “aumentare”, “sviluppare”, “ingrandire”. Autore è chi si fa promotore di crescita e benessere.

L’imprenditore stesso, con la sua inventiva e perspicacia, è un autore a tutti gli effetti.

7) Quali prospettive, tutto ciò considerato, per “Terre d’Acaia”?  

Ricordo un aneddoto raccontato dal grande Luigi Veronelli: trovandosi in Borgogna nel lontano 1956, vi incontrò il celebre vignaiolo René Engel, che gli disse: “Vedi, voi avete uve d’oro e fate vini d’argento, noi uve d’argento e vini d’oro”.

Secoli di passione, giudizio e lavoro instancabile possono fare miracoli. Da questo monito bisogna partire. Se l’obiettivo dei promotori di “Terre d’Acaia” è quello di far sì che le loro uve d’oro facciano vini d’oro  – e mi sembra che ne abbiano tutte le intenzioni – il progetto non solo avrà successo, ma diventerà uno dei marchi di fabbrica territoriali più rilevanti del Piemonte e non solo.

Marco Margrita

Per gentile concessione de Il Monviso settimanale


Nel mese di settembre 2014, il progetto Terre d’Acaia è stato presentato ufficialmente a Cavallermaggiore (CN), in occasione del convegno regionale organizzato dalle UNI3 Piemontesi

https://www.fondazioneperlarchitettura.it/corso/la-riqualificazione-dello-spazio-pubblico/

Diocesi di Pinerolo

http://www.regioni.it/dalleregioni/2016/10/27/terre-dacaia-un-brand-territoriale-per-promovere-il-pinerolese-483173/

https://www.torinoggi.it/2016/10/27/leggi-notizia/argomenti/pinerolese/articolo/terre-dacaia-un-brand-territoriale-per-promuovere-il-pinerolese.html

https://www.repubblica.it/sapori/2017/03/27/news/terre_d_acaia_storia_enogastronomia_entroterra_piemontese-161115067/

 


 


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Vita diocesana pinerolese

Cultura a Pinerolo? Parliamone ancora

Come noto le mie prese di posizione sulla gestione culturale degli enti pubblici in generale sono raramente in linea con il pensiero condiviso da altri operatori e presidenti di associazioni. Per questa ragione intervengo a titolo squisitamente personale, mettendoci, come si dice, la faccia.

In vista dell’importante convegno che si svolgerà a Pinerolo il 30 settembre 2017 su iniziativa dell’Ufficio pastorale sociale e del lavoro della Diocesi, e del quale riporto la locandina, invitando gli assessori alla cultura del territorio (di tutto il territorio) a partecipare, tre temi risultano di attualità e, in qualche modo, insisteranno sul tavolo dei relatori. Sicuramente negli appunti del sottoscritto. Li affronto per ordine di importanza.

La nuova legge quadro della cultura della Regione Piemonte

L’assessore regionale alla cultura, Antonella Parigi, nei confronti della quale notoriamente non ho mai esternato particolare stima, sia beninteso non per una questione di parte politica, ha partorito dopo un lungo lavoro il disegno di legge che dovrebbe portare la Regione Piemonte a un nuovo assetto delle politiche culturali e di sostegno in generale al settore.

Il testo completo lo potete leggere comodamente in un articolo di Gabriele Ferraris, ovviamente linkato per vostra comodità. È lunghetto, ma se siete addetti ai lavori non potete non sciropparvelo da cima a fondo. Rispetto alla sicumera che ha contraddistinto in passato la creatrice del carrozzone più farlocco e costoso che si potesse immaginare, quel Circolo dei Lettori che considero una bocciofila per fighetti attempati, l’assessore Antonella Parigi ha compiuto molti passi avanti. Non quanti sostiene Gabriele Ferraris, tanto suo sostenitore quanto acerrimo nemico dell’assessore torinese Leon e del sindaco Appendino, ma notevoli.

La partecipazione, innanzitutto, anche se mediata dal solito gruppetto di amici autoreferenziati, ha permesso di realizzare lo scorso anno gli Stati generali della cultura, dove qualche sassolino dalle scarpe i veri operatori della cultura, quelli che i conti sanno farli quadrare e cultura vera ne producono, hanno potuto toglierselo. La partecipazione, per quanto scomoda, è un caposaldo del quale la Regione pare volersi finalmente farsi carico. Non ci aspettiamo che per partecipare gli invitati debbano dimostrare di saper leggere e scrivere, altrimenti il gruppetto di amici autoreferenziati non potrebbe intervenire, ma almeno non saranno le uniche voci a dettare legge. Si spera.

La programmazione, basata su un piano triennale, dovrebbe aiutare il territorio a uscire dalle logiche dell’emergenza che hanno caratterizzato le recenti vicende legate al Salone del Libro e al taglio delle risorse. Programmazione che, a quanto si legge nel disegno di legge, dovrebbe investire anche il delicato capitolo delle strutture da ammodernare o semplicemente rendere fruibili. E qui arriviamo alle questioni del territorio pinerolese, delle quali parleremo più avanti. È chiaro che gli operatori culturali, per poter sviluppare programmi e iniziative di qualità, non possano vivere alla giornata, basandosi sull’aleatorietà degli spazi e delle risorse economiche disponibili di anno in anno, sia per quanto riguarda l’ente pubblico sia per quanto riguarda le Fondazioni.

La collaborazione di sistema deve altresì diventare un metodo imprescindibile di lavoro in campo culturale. Fare sistema fra pubbliche amministrazioni in un territorio omogeneo significa concordare le programmazioni delle iniziative. Che nel terzo millennio si pensi ancora che uno spettacolo, una fiera del libro, una manifestazione abbiano come bacino di utenza privilegiato il territorio di un singolo Comune rivela una concezione piuttosto arcaica. I flussi di fruizione delle iniziative culturali coinvolgono non solo le aree circostanti, ma possono diventare occasione di promozione turistica ed economica. Mi soffermo appena, a questo proposito, sul progetto Terre d’Acaia, al quale il Centro Studi Silvio Pelico lavora da oltre tre anni, con esiti alterni, e purtroppo con il sostegno di alcune amministrazioni soltanto, fra le quali non brilla affatto per capacità e volontà quella della Città di Pinerolo e in particolare dell’assessore Francesca Costarelli, che ha preferito impiegare risorse pubbliche per un’iniziativa separata e già moribonda piuttosto che sostenere, a costo zero per i contribuenti, un’iniziativa di più ampio respiro. Vicenda per la quale rimando alle considerazioni precedenti relative al “gruppetto di amici autoreferenziati”.

Pinerolo 1 – La bulimia di spazi inutilizzati

Pur non essendo in sintonia con un vecchio settimanale locale del territorio, generalmente intento al pettegolezzo piuttosto che al giornalismo, devo ammettere obtorto collo che l’editoriale di Paola Molino, comparso su questa testata il 20 settembre, affronta con lucidità e chiarezza il desolante quadro del dibattito culturale in atto nella Città di riferimento delle Terre d’Acaia. Le amministrazioni precedenti e, in qualche modo, anche l’attuale, hanno sempre annunciato con orgoglio le acquisizioni, o meglio le donazioni pelose, di vecchi edifici da destinare, con tanto di vincolo, alla cultura. Le associazioni si sono scapicollate per la primogenitura sulle idee per utilizzare Palazzo Vittone, da trent’anni in attesa di fondi che non arriveranno mai, la Caserma Bochard, per la quale sono stati organizzati convegni, congressi, votazioni, visite guidate e quant’altro senza naturalmente trovare il becco d’un quattrino, ora Palazzo detto degli Acaia, che sta lentamente ma inesorabilmente crollando malgrado l’intervento urgente di tamponamento. Se nel mucchio aggiungiamo, citando a caso, il Türck, in attesa del prossimo incendio, l’ex Tribunale, in attesa che la struttura, attualmente funzionale, inizi a degradarsi nell’abbandono, l’ex Municipio di Abbadia Alpina, oggetto di una battaglia meno popolare per salvarlo dall’abbattimento, abbiamo una quantità di edifici da fare impazzire di piacere gli architetti. Peccato che, sulla base delle scarse risorse disponibili, ma soprattutto delle miopi visioni amministrative, non ci sia la benché minima idea di cosa farne.

Intanto i Musei Civici languono in sedi che definire fatiscenti appare un eufemismo. Tempo fa azzardai la proposta all’assessore Martino Laurenti di prendere una mazza da baseball e, sotto minaccia fisica, imporre ai direttori dei musei di fare squadra, deportandoli tutti insieme in un’unica sede, adeguata allo scopo. Magari una sede dove i visitatori, sul modello francese, potessero trascorrere più ore, passando da un museo all’altro, con un unico biglietto (sì, un biglietto, perché la cultura, se di qualità, deve essere pagata), trovare ristoro, svolgere attività didattiche al sicuro e con adeguati supporti multimediali condivisi. La resistenza dei protagonisti resta forte, come ha sottolineato Paola Molino, e ciascuno preferisce sedere su un personale trono coperto di ragnatele che tentare una minima collaborazione. L’autorevolezza dell’amministrazione, in compenso, resta debole, come fu debole quella precedente che preferì lasciarsi scappare una convenzione con l’Università di Torino per inseguire il sogno infranto della Scuola infermieri al fine di non dispiacere un ente privato che continua a succhiare energie alla Città.

Pinerolo 2 – Misurarsi con i risultati e non con le risorse

È di oggi la polemica sollevata da un’associazione di respiro locale, Pensieri in Piazza, che annuncia la sospensione delle proprie attività per il taglio dei fondi ad essa destinati da parte dell’assessore Martino Laurenti. Non entro nel merito della vicenda, e mi limito a dare atto all’associazione di aver realizzato diverse iniziative nel territorio comunale, per buona parte legate alla presentazione di libri, e all’assessore di aver puntualizzato che la risorse messe a disposizione erano note in precedenza.

Eppure ci sono altre associazioni che di iniziative ne hanno realizzate altrettante, anche presentando libri, e di fondi non hanno avuto bisogno. Basti pensare al Percorso letterario De Amicis, bellissima idea scaturita dal cervello movimentista di Maurizio Trombotto e dal lavoro frenetico dei volontari di Italia Nostra. Oltre ottanta persone si sono presentate, in un pomeriggio domenicale, sul sagrato della Basilica di San Maurizio, versando felici un’offerta di 5 euro per partecipare. Non saranno milioni, e certo non bastano per restaurare Palazzo degli Acaja, ma hanno permesso a Italia Nostra di aprire la Chiesa di Santa Chiara e allestire una pregevole mostra.  Se parliamo di volontariato, volontariato sia. E nello stesso giorno, il Centro Studi Silvio Pellico ha presentato la nuova edizione di Alle porte d’Italia, riuscendo persino a venderne diverse copie, senza per questo chiedere all’amministrazione comunale un contributo. Anzi, versando a sua volta un contributo a un’altra associazione.

Non è una questione secondaria, in quanto…

La cultura è un’attività economica.

Inorridisco ogni qual volta un relatore, generalmente un assessore intento a difendere la propria fettina di bilancio pubblico, starnazza sulle “ricadute” degli investimenti in campo culturale. Al tempo di Gianni Oliva, la tesi era che ogni euro speso dall’ente pubblico portasse a un ritorno economico di sette euro. I sette euro non si sono mai visti, ma in compenso, per tenere in piedi la dorata e un poco lussuriosa poltrona di Rolando Picchioni, gli euro di ricaduta erano diventati diciassette, secondo il celebre matematico Michele Coppola. Come sia andata a finire con il Salone del Libro lo sappiamo tutti. E per fortuna ci è arrivata anche la magistratura, con qualche annetto di ritardo, che è costato milioni ai contribuenti.

Al coro degli assessorini si unisce naturalmente quello dei presidentini di associazioncine. Una pletora di mendicanti del contributo che nel nome del diritto universale alla cultura allungano la manina per elemosinare qualche centinaio o migliaio di euro da destinare a iniziative lodevolissime quanto intimissime: dibattiti sull’aria cotta a micro-onde, presentazioni di best seller per otto lettori, conferenze in lingua swahili medievale per ascoltatori groenlandesi.

Anche il pane è un diritto universale, eppure non mi risulta che i panettieri di Pinerolo e dei Comuni limitrofi annuncino di sospendere la produzione di pagnotte per colpa dei tagli dei contributi da parte delle amministrazioni pubbliche. Le biove le vendono, magari facendosi una sana concorrenza sulla qualità del prodotto, e, se sono panettieri con una coscienza e un senso di solidarietà nei confronti dei poveri, alla sera regalano il pane avanzato ai bisognosi piuttosto che gettarlo. Se il loro pane è scadente, probabilmente cambieranno attività, cedendo il passo a fornai più abili e preparati.

La cultura deve essere considerata un’attività economica e come tale deve misurarsi con il mercato. Non è vero, è una bugia spacciata da artisti alternativi di vetusta formazione bolscevica, che il pubblico non sia in grado di scegliere e che senza contributi pubblici non sia possibile proporre opere o allestimenti di qualità. Personalmente opero nell’editoria da decenni e il quadro delle produzione libraria dimostra che a patire la crisi, pur evidente, del settore, non sono gli editori di qualità e di contenuto, ma i produttori di non-book, di raccolte di fotografie di gattini e di ricette scopiazzate malamente. Le ingenti risorse finanziarie che ogni anno il Centro Studi Silvio Pellico destina alla produzione di libri per ipovedenti derivano dagli avanzi di gestione derivanti dalla vendita di opere culturalmente impegnative di saggistica universitaria. Il pubblico è perfettamente in grado di scegliere la qualità e la premia.

Le conferenze di elevato contenuto, gli spettacoli di apprezzabile allestimento, ottengono pubblico e dal pubblico ottengono risorse, se l’associazione che li promuove ha sufficiente capacità manageriale. Volontariato non significa approssimazione. Significa impegno della volontà e della capacità. Se mancano volontà e capacità, non saranno i quattrini regalati a pioggia a elevare le proposte.

Il sostegno pubblico deve facilitare, non finanziare.

Facilitare e sostenere le attività culturali è piuttosto facile e richiede scarse risorse. Qualche volta basterebbe un semplice atto amministrativo che, superando le logiche formali, vada a operare sulla sostanza dei bilanci. Torniamo al Comune di Pinerolo, dove un’associazione che voglia proporre un’iniziativa culturale deve, a tutt’oggi, corrispondere il diritto di affissione per le locandine e, se l’iniziativa si svolge negli spazi pubblici, corrispondere l’occupazione del suolo. Se l’iniziativa necessita di spazi coperti, dovrà anche pagare l’affitto di sale e teatri, anche se a prezzo di favore.

Naturalmente gli incassi sono virtuali, perché le associazioni prive di risorse ben si guarderanno dal diffondere locandine o affittare spazi, mentre quelle strutturate come il nostro Centro Studi utilizzeranno preferibilmente spazi di qualità di altri enti, magari Fondazioni private, e non saloni fatiscenti, o promuoveranno le proprie iniziative attraverso testate di ampia diffusione e non locandine affisse in qualche vetrina di un centro storico in decadenza. Il Comune, alla fine, non incassa nulla. In compenso scoraggia. Cambiare prospettiva non comporterebbe alcun costo per l’amministrazione, nessun mancato incasso.

Un cambio radicale di visione si impone. Perché governare con onestà è sicuramente indispensabile, ma usare anche il cervello è essenziale.

Ci vediamo, se ritenete di partecipare, il 30 settembre 2017.

In calce aggiungo l’articolo del settimanale IL MONVISO che ha ripreso in un ampio articolo più generale alcuni passaggi di questo intervento:


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